La Via Crucis di Giovanni Paolo II

Ben presto apparve chiaro che a suo riguardo Dio tutto predisponeva per un pontificato la cui efficacia non doveva procedere dal vigore della persona, ma dall’azione dello Spirito Santo nella fragilità umana. Il dolore era entrato nella vita del futuro pontefice quando egli era ancora bambino e l’aveva accompagnato, in vario modo, in ogni età. A nove anni gli muore la mamma.

A diciotto anni perde l’unico fratello e a ventun anni gli muore improvvisamente anche il padre. Sapeva d’aver già in Cielo anche una sorellina nata prima di lui… Rimane solo. Solo e povero. Lavora come operaio, e intanto comincia, clandestinamente, gli studi seminaristici, mentre si sta svolgendo la tragedia della seconda guerra mondiale di cui la Polonia, il suo amato Paese, ha pagato un altissimo prezzo di sangue e di dolore. Karol diventa prete (1946), poi vescovo (1958), cardinale (1967)… Quando Dio lo trattiene a Roma (1978) e gli affida tutta la sua Chiesa, egli è un uomo di cinquantotto anni, già temprato dalla sofferenza, forte nel corpo e nello spirito: un atleta dello spirito che può portare con vigore la croce che Paolo VI e Giovanni Paolo I gli hanno passato. E quante, quante altre croci egli portava nel cuore, avendo vissuto le tragiche vicende della storia del suo Paese e di tutto il mondo in cui imperversava il mistero d’iniquità! La collina delle croci nella santa Lituania, cara mèta di suoi pellegrinaggi, era un simbolo del continuo patire di Cristo nelle membra del suo corpo mistico.

Il Signore – come già aveva fatto con Pietro e con Paolo, con tutti gli apostoli – volle far passare quest’uomo forte anche attraverso la debolezza della carne e la kenosi estrema. Fu un lungo percorso. Se consideriamo suo “noviziato” alla “via crucis” tutto quello che aveva patito in Polonia, possiamo considerare prima stazione l’attentato che subì in Piazza San Pietro il 13 maggio 1981, nel terzo anno del suo pontificato. È grave, ma non soccombe, perché c’è la Madre che lo guarda: la Madre della sua speranza. Non è casuale la coincidenza della data con la memoria della Madonna di Fatima!

Egli – come Gesù – ha insegnato dalla cattedra della croce e così ha mostrato il valore di magistero della malattia e della morte, dando una risposta inconfutabile a quella corrente scientifica che oggi presume di manipolare la vita al suo inizio e al suo termine, escludendo il più possibile la sofferenza che l’accompagna. La “via crucis” di Giovanni Paolo II si è fatta, di stazione in stazione, di viaggio apostolico in viaggio apostolico, di ricovero in ricovero all’ospedale, sempre più faticosa ed egli ha certamente sperimentato quanto sia vero che «la sofferenza è, in se stessa, un provare il male», ma che il Cristo, «con la sua sofferenza sulla croce ha raggiunto le radici stesse del male: del peccato e della morte», vincendo così «l’artefice del male, che è satana e la sua permanente ribellione…

Giovanni Paolo II ha continuamente risposto sì al “Seguimi!” che il Signore gli diceva nelle varie fasi della sua esistenza. Come bene ha sottolineato nell’omelia del funerale il Santo Padre Benedetto XVI, allora Cardinale decano, è stato un “Seguimi!” che lo introduceva sempre di più nel mistero della kenosi di Cristo per renderlo anche partecipe della sua gloria. Negli anni ’90 le sue continue ricadute facevano temere che non potesse arrivare ad aprire la porta santa del Giubileo 2000; invece, nonostante l’infermità, con passo soprendentemente vigoroso egli varcò la soglia del terzo millennio, stringendo e innalzando con la mano tremante e tuttavia sicura il vessillo della vittoria di Cristo, la Croce. Basterebbe rileggere i testi della Via Crucis da lui stesso composta nell’anno santo, per sentirvi dentro la sua personale esperienza e la verità di quanto aveva affermato nella Lettera Salvifici doloris: «Coloro che partecipano alle sofferenze di Cristo conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell’infinito tesoro della redenzione del mondo, e possono condividere questo tesoro con gli altri» (n. 27).

Man mano che passavano gli anni, Giovanni Paolo II non era più soltanto il Papa che insieme con Maria, Madre di Cristo, si fermava accanto a tutte le croci dell’uomo di oggi (cf. Salvifici doloris, n. 31), ma era lui stesso un uomo crocifisso; crocifisso ed esposto – si può dire – al “ludibrio delle genti”. Infatti non era soltanto guardato con amore e venerazione dai buoni fedeli, ma anche fatto oggetto di derisione da parte di chi lo osservava, da vicino o da lontano, con sguardo poco riverente…

Ed egli lo sapeva, lo sapeva e lo sentiva… e umilmente accettava. Quando non era ancora ridotto all’estrema impotenza – ad immagine del “servo sofferente, prostrato dai dolori, muto agnello…” – si era rivolto ai deboli e ai sofferenti chiedendo sostegno: «Chiediamo a voi tutti, voi che soffrite, di sostenerci. Proprio a voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la Chiesa e per l’umanità.

Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce di Cristo!» (Salvifici doloris, n. 31). Ormai era lui stesso, con la sua infermità, a sostenere la Chiesa e il mondo insieme con loro. Lo si sentiva specialmente quando veniva a contatto con i sofferenti più poveri e con i bambini… Nell’abbracciarli, nel baciarli e stringerli a sé faceva un tutt’uno con loro. Il viso del “vecchio papa” e il viso dei piccoli avevano la stessa espressione di dolore innocente; spesso le loro lacrime si mescolavano, ed erano lacrime che lasciavano trasparire il sorriso dell’anima.

Che cosa potremmo aggiungere? L’atleta, l’uomo forte venuto dall’Est, è stato condotto – per mirabile disegno di Dio – proprio là dove si è posto il Verbo Incarnato, ultimo tra gli ultimi, debole tra i deboli, ossia là dove l’Amore vince nell’impotenza, nell’immolazione. Un frutto sorprendente di questa sua vittoriosa impotenza è l’essere egli riuscito a consegnare proprio il glorioso vessillo della croce ai giovani del nostro tempo – che in genere sono ben poco addestrati all’austerità e al sacrificio… – ed essi l’hanno portata – e continuano a portarla – in tutto il mondo senza vergogna, anzi con entusiasmo e fierezza.

Ha saputo attirarli a Cristo amandoli con il cuore stesso di Cristo, con un cuore sempre giovane e ardente. Non perdeva mai le occasioni per esortarli: «Voi, giovani, – diceva loro nell’omelia della domenica delle Palme 1988 – cercate Cristo nel centro del suo mistero. Lo cercate nella pienezza di quella verità che è Lui stesso nella storia dell’uomo… Voi cercate Cristo nella parola definitiva del Vangelo, così come ha fatto l’apostolo Paolo: nella croce, che è potenza di Dio e sapienza di Dio (cf. 1 Cor 1,24) come la risurrezione ha confermato. Cristo svela pienamente all’uomo – a ciascuno di noi – l’uomo. Potrebbe svelarlo se non fosse passato anche attraverso questa sofferenza e questo spogliamento senza limiti? Se non avesse, infine, esclamato sulla croce: “Perché mi hai abbandonato?”. Sconfinato è il terreno dell’esperienza dell’uomo. Indicibile pure è la scala delle sue sofferenze…

Ma nessun svantaggio, nessuna sofferenza o spogliamento possono separarci dall’amore di Dio (cf. Rm 8,35), da quell’amore che è in Cristo Gesù… Non stancatevi di essere testimoni della Croce per le vie del mondo!». La Croce è sempre la Parola-chiave della sua predicazione. Nel suo libro Dono e mistero egli ricordava l’emozione provata nel momento dell’ordinazione sacerdotale il 1º novembre 1946 mentre, steso a terra in forma di croce, aspettava il momento dell’imposizione delle mani… Là sul pavimento, tutto disponibile ad essere trasformato in alter Christus…

Il 2 aprile 2005 la sua vocazione è giunta al pieno compimento. Si faceva sera… Ormai poteva dire a chi gli stava vicino: «Lasciatemi andare alla casa del Padre!». Come non notare che era il sabato in albis – dell’ottava di Pasqua –, il primo sabato del mese, giorno dedicato a Maria e la festa della Divina Misericordia da lui istituita? Nel giorno del suo funerale una moltitudine immensa, anzi, si può dire tutto il mondo (compresi i potenti…!) parve fermarsi – commosso e riverente – davanti alla sua bara semplicemente deposta al centro della piazza San Pietro – come nel cuore dell’umanità – là dove veniva celebrato il mistero della croce e della risurrezione di Cristo. Mistero che Giovanni Paolo II ha appassionatamente proclamato con tutta la sua vita e la sua santa morte. Sembra di sentire risuonare la sua bella voce ritrovata che, rivolgendosi alla moltitudine, dice: «Ringrazio tutti. A tutti chiedo perdono. Chiedo anche la preghiera, affinché la Misericordia di Dio si mostri più grande della mia debolezza e indegnità» (Testamento – 6 marzo 1979).

Il grido “santo subito” levatosi dalla folla – specialmente dai giovani! – per Giovanni Paolo II era un unanime riconoscimento della conformità di questo grande Papa al Signore Gesù Cristo nell’amore “usque in finem”, nel dono totale di sé. E tutti possiamo dire di sentirlo, questo immenso dono, di sentirlo personalmente per noi. Un dono che emana il buon profumo di Cristo e che fa cantare il nostro cuore colmo di gratitudine e di commosso stupore:

Un ultimo, breve respiro poi, spenti a questa luce, gli occhi tuoi di bambino grandi e pieni di stupore si aprirono all’invisibile Reale. Ed ecco, Lei era là, la Regina, prima di Lui, splendida più di mille soli. Prima del Figlio era là, Lei, la Madre della tua Speranza, le braccia accoglienti, tutta sorriso. “Totus tuus” volevi sussurrare, ma già Lei ti aveva sospinto verso Colui che sedeva sul trono: tutto del Figlio per sempre nel seno del Padre, nella viva fiamma dell’Amore. E là, fatti uno nell’Unità beata, subito riconoscesti il volto della tua dolce madre, l’amato volto di tuo padre, del tuo caro fratello, della tua mai prima conosciuta sorella, il volto di tutti i testimoni venuti dalla grande tribolazione. Non più in alto non più in basso non accanto li vedesti: uno con te, semplicemente nell’Unità dei Tre. Ma tutta quella festa di cielo, tutta quella gioia d’amore non ti fece immemore di noi; ed ecco, da te mandata, venne Lei, la Regina pietosa; venne con la sua tenerezza a tergere le lacrime dai nostri ombrati volti. E dalla finestra riaperta apparve, umile e sorridente, il nuovo Vicario di Cristo.

No, non abbiamo paura: Il Signore è sempre con noi!

Anna Maria Cànopi osbAbbazia Benedettina «Mater Ecclesiæ»